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Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia di una falsa coscienza.

Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.

Giro giro tondo cambia il mondo.

Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l’unica cosa sicura è tenerli lontano
dalla nostra cultura.

Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto, al teatro
alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un’antica speranza.

Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’amore il resto è niente.

Giro giro tondo cambia il mondo.
Giro giro tondo cambia il mondo.

Se n’è andato troppo presto, Signor G. Avrebbe avuto sicuramente ancora qualcosa da dire, da esempio di assoluta libertà quale è sempre stato.

Un messaggio di speranza

Per questo Natale 2011 ho deciso di regalarvi un messaggio di speranza da parte di Sir Charlie Chaplin, deceduto in Svizzera esattamente 34 anni fa, tratto dal film “Il Grande Dittatore”:

Natale col PD

Assassini di democrazie

Notte Prima delle Dimissioni

11/11/11 – 11:11

Stasera qualcuno mi tradirà

Tratto dal blog A Costo Zero

È scattata la mezzanotte

Elogio del cazzotto

di Massimo Fini

Intendo qui celebrare il cazzotto. Il vecchio, caro, sano cazzotto. Come quello che un abitante di Aulla, che stava cercando di spalar via i detriti lasciati dall’alluvione, ha sferrato a Michele Lecchini, consigliere comunale (leghista) a Pontremoli, il quale si era imprudentemente sporto dal finestrino di una delle tante auto blu che procedevano incolonnate nella zona del disastro. Probabilmente lo sfortunato Lecchini non aveva alcuna responsabilità nelle devastanti conseguenze dell’alluvione, ma quel pugno, un diretto destro che ha colpito il consigliere a un occhio, è emblematico dell’insofferenza e dell’esasperazione che sta montando contro la classe politica e dirigente italiana. L’improvvisato pugile non era infatti un “anarco insurrezionalista”, un black bloc, un militante di un qualche gruppuscolo eversivo. Era un comune cittadino. Come comuni cittadini erano quelli che hanno preso a palate di fango il convoglio di auto blu (centrata in pieno Lucia Baracchini, sindaco di Pontremoli) e poi hanno cominciato a scuoterle gridando “vergogna!”. Come un comune cittadino era quella signora che ha urlato “assassino” al sindaco di Aulla, Roberto Simoncini, e poi è scoppiata in lacrime.

Suppongo che il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, se leggerà queste righe, mi bollerà come “cattivo maestro”, fomentatore di violenza e di possibile terrorismo. Io credo il contrario. Il cazzotto è uno sfogo salutare, e sostanzialmente innocuo, dell’aggressività vitale che alberga in ognuno di noi. A furia di comprimerla questa aggressività, in una società ammalata di buone maniere (si veda Carnage, il film di Roman Polanski), si accumula e finisce per esplodere improvvisamente nelle forme più brutali, per esempio nei “delitti delle villette a schiera” come li ha chiamati Guido Ceronetti. Negli anni Cinquanta ci scazzottavamo tutti. Ci si scazzottava fra ragazzini, divisi per bande di quartiere (è molto improbabile che bambini di undici, dodici, tredici anni si facciano sul serio male, il peggio che poteva capitare era di tornare a casa con un occhio nero, come Lecchini, e prendere, per sopramercato, due sacrosante cinghiate da tuo padre). Ma ci si scazzottava anche fra adulti. Allo stadio, dove nessuno si sognava di andare con spranghe e catene, e fuori dal bar, in genere per questioni di ragazze. Ma quella violenza, diciamo così, primigenia, elementare, naturale, non è mai sfociata in nulla di più grave. Il terrorismo era di là da venire. Sarebbe comparso una quindicina di anni dopo quando i figli dei borghesi, che non avevano preso le giuste nerbate dai padri, i quali erano al contrario orgogliosi di quei loro pargoli tanto “rivoluzionari”, cominciarono a girare in massa per le strade gridando “Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi”, “Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero”, “Uccidere un fascista non è reato” e qualcuno (non loro, i figli di papà che di giorno giocavano a spaccare le vetrine, e magari anche qualche testa, e di sera, tornati a casa, si attaccavano al telefono: “Pronto, Leonetta?”, “Pronto, Dadi?” che non sono esattamente nomi proletari) prese sul serio quegli slogan.
Il cazzotto insomma è, a suo modo, leale. Sleale, viscida e subdolamente violenta è invece l’evocazione che il ministro Sacconi, sottoposto ad aspre critiche per le sue misure sui licenziamenti (che personalmente, sia detto di passata e per quel che vale, condivido), ha fatto del terrorismo. È una forma di intimidazione che abbiamo visto praticare già tante volte dalla classe politica quando si trova in difficoltà. Un ricatto morale ignobile e inaccettabile che tende a zittire ogni critica addossando a chi la fa la responsabilità dell’eventuale atto criminale di qualche sciagurato che se ne faccia suggestionare (a evocare una cosa inesistente si rischia di materializzarla, come negli esorcismi). Ha detto, con grande lucidità, Pietro Ichino: “Non si può evocare il pericolo di violenza politica per comprimere il dibattito o peggio per accollare a chi dissente la responsabilità oggettiva di eventuali aggressioni commessa da altri”.

Purtroppo gli Ichino sono rara avis e i Sacconi, e i molto peggio di Sacconi, la regola di una classe politica, a tutti i livelli, di incapaci, di inefficienti, di parassiti, di schifosamente privilegiati, quando non di truffatori, di ladri e di delinquenti, che ci logorano quotidianamente i nervi comparendo ogni giorno, con i loro mascheroni da Halloween o da commedia dell’Arte, per dimostrarsi, al momento del dunque, per quel che sono: delle nullità. Con costoro il massimo che possiamo permetterci, in democrazia, è un cazzotto. Ma è anche il minimo.

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